Questa parte della rubrica, relativa alle immersioni su relitti della Puglia, è stata preparata dall'amico e compagno di avventure Raffaele Onorato di Nardò che ha curato la raccolta dei dati e delle immagini
La costa ionica del Salento è caratterizzata dalla presenza di doline di crollo (sinkhole) che si aprono nei pianori calcarenitici prossimi al litorale. Tali forme vengono identificate col termine locale di “spunnulate” e risultano dal crollo delle volta di preesistenti cavità carsiche ipogee. In molti casi esse ospitano uno specchio d’acqua di falda che, data la vicinanza al mare, è salmastra e a salinità variabile. Le spunnulate sono sistemi carsici allineati secondo le principali linee di fratturazione tettonica del Salento. L’evoluzione di tutte queste forme è rapida e il fenomeno ha un ruolo importante anche nell’evoluzione della linea di costa.
La Spunnulata della Pajara è situata a 420 m in linea d’aria dalla più estesa e famosa Palude del Capitano. Anche nel caso in oggetto uno specchio d’acqua occupa il fondo della dolina sviluppandosi in ambiente epigeo in direzione NNE per una lunghezza complessiva di 15 m, una larghezza di circa 8,5 m ed una profondità media di 1 m, mentre in ambiente ipogeo lo sviluppo prosegue in direzione N e si sviluppa per circa 36 m totali. Lungo i margini del tratto epigeo si notano segni di scorrimento delle acque verso il mare, distante poco meno di un chilometro.
La Spunnulata della Pajara è stata di recente oggetto di lavori legati al risanamento edilizio di un immobile rurale (pajara) costruito in muratura a secco, e dell’allestimento di una limitrofa area a giardino. Il sito viene indicato col toponimo Pajara del Capitano. Tali interventi ne hanno evidenziato l’esistenza, non nota durante il censimento effettuato da BECCARISI L. et al, nel 2010. Ingenti quantità di rifiuti di origine agricola (teli di plastica, tubi in alluminio e plastica, ecc.) erano stati scaricati all’interno della dolina di crollo, mascherando completamente lo specchio d’acqua. Grazie alla segnalazione ed al consenso del proprietario del terreno, Arch. Luigi Ripa, è stato possibile eseguire l’esplorazione speleosubacquea e la caratterizzazione geometrica della spunnulata. La prima esplorazione è stata effettuata entrando dall’ingresso N dell’ipogeo. La cavità si presenta con un’ampia sala di circa 36 m totali di sviluppo, che si estende prevalentemente in direzione N. L’ambiente, che subito dopo l’ingresso si approfondisce con un salto fino ad una batimetrica di -4,17 m, non presenta bolle d’aria, ad eccezione di una, piccolissima (ordine decimetrico), nella quale è impossibile emergere e che corrisponde ad un piccolo accesso esterno verticale, profondo circa 4 m, ubicato a N del primo ingresso subacqueo. La roccia è fortemente carsificata: lame, scallops, spuntoni di roccia e fori carsici caratterizzano la tormentata morfologia interna dell’ipogeo. Ciò farebbe pensare ad un’azione cariogena da ipercarsismo delle acque sotterranee. In più punti è stato impossibile armare la sagola guida, cioè ancorarla alle pareti della cavità, perché interispuntoni di roccia, ben oltre i 50 cm di lunghezza, si distaccavano alla base a seguito di una minima pressione. La roccia appare come una breccia poco coerente. La videocamera montata sul casco dell’esploratore ha documentato una pericolosa e continua pioggia di detriti e pietrame, oltre ad ingenti quantità di fango in sospensione. Dopo circa 40 m di percorso, la grotta chiude con un passaggio impraticabile per l’Uomo, oltre il quale si può intravedere una probabile prosecuzione in direzione ENE. Il fondo della cavità è completamente ricoperto da materiale clastico e fango. L’esplorazionespeleosubacquea è stata interrotta in quanto lo scorrimento delle acque non sembrava sufficientemente intenso da eliminare la fitta sospensione in tempi brevi (in rapporto alla scorta d’aria dello speleosub). Ciò potrebbe essere un fattore di carattere climatico-stagionale, in considerazione di un regime pluviometrico pressoché assente per i cinque mesi che hanno preceduto l’esplorazione. Il fango in sospensione ha comunque raggiunto e intorbidito anche lo specchio d’acqua epigeo. La temperatura dell’acqua rilevata nel corso dell’esplorazione è di 19°C. La Spunnulata della Pajara è stata inserita nel Catasto Grotte della Federazione Speleologica Pugliese con numero PU/LE 1809 e ciò consentirà di ottenere la tutela del luogo, prevista dalle vigenti Leggi. Le spunnulate, infatti, sono oggetto di tutela idrogeologica (D.Lgs. 152/99) da parte dello Stato e appartengono al patrimonio speleologico salvaguardato dalla Regione Puglia (L.R. 33/2009). Inoltre, esse rappresentano “habitat naturali d’interesse comunitario” tutelati dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE e, nello specifico, corrispondono alle “Grotte non ancora sfruttate a livello turistico” (codice Natura 2000: 8310), “Grotte marine sommerse o semisommerse” (8330), “Lagune costiere” (1150, un habitat prioritario). La cavità, probabilmente, sarà oggetto di future indagini finalizzate alla caratterizzazione biologica che permetta di acclarare la presenza di fauna ittica di cui riferisce il proprietario del terreno in cui insiste la cavità. All’interno dell’ipogeo sommerso è stata lasciata una sagola fissa da 2,5 mm, a sostegno di future ulteriori indagini strumentali. La pericolosità della grotta, però, legata ad un elevato pericolo di frane, non
sembra al momento compatibile con una seconda campagna di esplorazione speleosubacquea. P er vedere il filmato della cavità, https://youtu.be/shkXVXtHgmQ.
Faceva parte della flotta che il 10 settembre del 1943, due giorni dopo l’armistizio, partì dal porto di Fiume per rimpatriare il tesoro della Banca d’Italia. Sei giorni dopo, il piroscafo “Lanciotto Padre” si inabissò nel Golfo di Taranto, dopo l’impatto con una mina. Dopo 73 anni il relitto è stato ritrovato, oltre 10 miglia al largo della costa neritina di Torre Inserraglio. Non il tesoro, chiaramente, che invece in quei giorni del ’43 ritornò in Italia.
La scoperta, dopo circa un anno di ricerche, è stata fatta nell’ottobre del 2016 dal team di sub del Diving “Costa del Sud” di Santa Caterina di Nardò, guidato da
Andrea Costantini, che è riuscito ad individuare l’esatta posizione del relitto, dopo che un pescatore aveva trovato, impigliato tra le sue reti, un vecchio portavivande militare (con incisi dei
nomi) e alcuni pezzi di carbone e lo aveva segnalato. Il relitto, lungo circa 50 metri, giace a circa 10 miglia al largo di Torre Inserraglio (Nardò, LE), a 106 metri di profondità. Grazie,
infatti, al supporto tecnico dell’Area marina protetta “Porto Cesareo”, è stato possibile effettuare una scansione con “side scansonar” ad alta risoluzione e quindi stabilire l’esatta posizione
del relitto. Dalle prime ricerche sembra trattarsi del Piroscafo “Lanciotto Padre”, una imbarcazione commerciale per la pesca, costruita nel 1921 dall’armatore genovese Lanciotto Saltamerenda e
requisita dalla Regia marina nel 1940. Stando alle notizie riportate dal Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, il 10 settembre 1943 il piroscafo Lanciotto Padre,
insieme ai sommergibili Ametista, Otaria e Ruggero Settimo, la nave appoggio sommergibili Quarnerolo, l’incrociatore ausiliario Mocenigo, altri sei piroscafi (tra cui tra cui lo Iadera, con il
tesoro della Banca d’Italia) e 14 motopescherecci, partì dal porto di Fiume in direzione Sud. La missione era quella di rimpatriare i fondi della Banca d’Italia. Il piroscafo Lanciotto Padre,
diretto a Taranto, andò perso verso le ore 10 del 16 settembre in seguito alla deflagrazione di una mina, probabilmente italiana, nel Golfo di Taranto.
Il team di subacquei, composto dai “profondisti” Alex Gubello, Alberto Liturri, Matteo Ciccarese e il responsabile della spedizione Andrea Costantini, con il supporto di superficie di Raffaele Onorato, Nico Gubello e Roberto Specchia, hanno aggiunto, così un altro “gioiello” alla mappa dei relitti scoperti negli ultimi 10 anni nel mare tra Nardò, Gallipoli e Porto Cesareo, tra i quali vanno ricordati, il cacciatorpediniere “Quail”, il cargo “Pugliola”, successivamente il “Caterina Madre” e il bombardiere tedesco Junker 88 (Raffaele Onorato)
RELITTO ADONIS II
Una notte del 1957, nel
porto di Otranto (Lecce) l'Adonis II, nave mercantile a vapore, termina il
carico ed inizia le manovre di uscita dal porto con tre uomini di equipaggio a bordo. La destinazione del mercantile è la Grecia. A circa tre miglia dalla costa, una caldaia esplode e la nave inizia ad imbarcare acqua. Arriva dal porto di Otranto
il rimorchiatore Ardimentoso e lancia un cavo alla nave in soccorso. Inizia quindi il tentativo di trainare il relitto in porto ma qualcosa non va nel verso giusto. L’Adonis II, nave da carico lunga almeno 130 metri, inizia ad affondare, il rimorchiatore non riesce a fronteggiare l’emergenza e rischia di affondare assieme alla nave al traino. Per non seguire la stessa sorte dell'Adonis II, all'Ardimentoso non rimane che tagliare il cavo di traina. L’Adonis II cola a picco.Giace sui fondali di Otranto (Lecce) ad una profondità compresa dai -72 a -55 m.
https://www.youtube.com/watch?v=4Lj-avKW5EA
RELITTO NEURALIA
La nave, battezzata Neuralia, fu costruita nel 1912 dai cantieri nautici Barclay Curle
& Co., a Glasgow in Gran Bretagna e destinata, inizialmente, al trasporto
delle truppe indiane in Francia e successivamente in Gran Bretagna. Durante la Prima Guerra Mondiale il Neuralia fu utilizzato come nave ospedale nel Mar
Mediterraneo. Al termine della guerra tornò ad essere una nave passeggeri. Nel 1932 e per i successivi cinque anni fu usata come nave scuola per giovani inglesi, con destinazione Mar Baltico e Fiordi Norvegesi.
Con l'esplosione della Seconda Guerra Mondiale, il Neuralia tornò a svolgere mansioni militari, recandosi in Australia, per il trasporto di un grosso contingente di truppe fino al Canale di Suez per compiti di pattugliamento, e successivamente salpando per Cipro, per trarre in salvo i Ciprioti prima dell'invasione dell'Isola. Nel 1944 partecipò, in qualità di nave appoggio allo sbarco in Normandia, dopo l'invasione da parte delle forze alleate, e compì circa 14 viaggi di andata e
ritorno, trasportando circa 27.000 uomini tra ufficiali e truppe alleate sulle coste francesi. La vicenda del Neuralia si concluse il 1° Maggio del 1945, all'altezza di Torre Inserraglio, quando, dirigendosi a Taranto per prelevare prigionieri di guerra tedeschi, si scontrò con una mina galleggiante ed affondò poco dopo.
Nell'esplosione morirono quattro persone. Il relitto oggi è poggiato sul fondo ad una profondità massima di 33 metri, e ad un miglio circa di distanza dalla costa; non è integro a causa dei lavori effettuati nel dopoguerra per il recupero delle parti più importanti. Si può, tuttavia, ammirare ancora qualche elmetto militare e qualche maschera antigas,il tutto contornato dai
pesci, che tra le lamiere trovano riparo: saraghi, cernie, aragoste, orate, murene e gronghi.
(Foto Andrea Costantini).
https://www.youtube.com/watch?v=9JCd3v7ZAlw